Un disegno di legge di modifica del Codice della proprietà industriale (IPC) pubblicato dal governo nell’aprile 2022 ha completato il suo iter parlamentare ed è ora prossimo a diventare legge. Il testo è stato notevolmente migliorato rispetto alla stesura iniziale, guidata da Amedeo Detti, nuovo Direttore Generale dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIPM), grazie a Confindustria, Netval, Indicom e un team di esperti del settore. L’iter emendamento è culminato in un giro di audizioni da parte della competente commissione del Senato, che ha esaminato il provvedimento in prima lettura (e l’ha ampiamente rivisto).
Due risultati chiave:
- introducendo la possibilità di combinare brevetti italiani e brevetti europei nella stessa invenzione (art. 59 CPI) (o con effetti unitari); E
- Revocare il diritto di brevettare le invenzioni realizzate dai propri ricercatori alle università e agli altri enti pubblici di ricerca in esecuzione del proprio contratto di lavoro, ovvero nell’ambito della propria ricerca istituzionale (artt. 65 e 65-bis CPI). Ciò apre l’opportunità alle imprese di ricerca italiane di competere a livello globale nel mercato della ricerca a contratto.
La prima modifica è legata all’entrata in vigore del Trattato istitutivo del Tribunale unificato dei brevetti (UPC) il 1° giugno 2023. Con questo in mente, alcuni Stati membri dell’UE (ora compresa l’Italia) hanno modificato le precedenti norme che vietano la protezione. La stessa invenzione sia nel brevetto europeo che nel brevetto nazionale. Questo per consentire alle aziende di utilizzare il brevetto unitario e l’UPC come opzione aggiuntiva ai brevetti nazionali e ai procedimenti giudiziari nazionali. Ciò aiuta a preservare i procedimenti giudiziari nazionali, il che è auspicabile ogni volta che le controversie sono limitate a un solo stato. L’ottenimento tramite l’UPC sarebbe economicamente sostenibile solo se più casi fossero portati in più stati. D’altra parte il costo di una causa in uno stato (soprattutto in Italia) è molto più basso di un caso UPC.
Critica anche la revoca delle norme che regolano le invenzioni dei dipendenti delle università e degli istituti pubblici di ricerca e che danno alle aziende il diritto ai brevetti che sono stati loro tolti nel 2001. Una presa di posizione tecnica, criticata da giuristi, università e istituti di ricerca e ambienti imprenditoriali, potrebbe avere conseguenze negative per il finanziamento della ricerca pubblica da parte dei privati. Nel 2009, infatti, il Parlamento italiano ha approvato una delega per restituire la titolarità di tali brevetti alle università e una Commissione di esperti ha predisposto un provvedimento in tal senso. Tuttavia, per motivi politici, l’allora governo decise di continuare il regime ormai abolito.
Il testo del nuovo articolo 65 CPI, che ora entrerà in vigore, disciplina essenzialmente le invenzioni dei ricercatori, “un contratto o… un rapporto di lavoro subordinato o di lavoro, anche a tempo determinato, con un’università”. Disciplina anche le invenzioni realizzate “nell’ambito di un accordo tra i medesimi soggetti”. La nuova condizione per questo tipo di invenzione è allineata a quella comune a tutti gli altri dipendenti-inventori dell’articolo 64 CPI, che si giustificano come appartenenti agli enti pubblici di ricerca, ripristinando così la finalità della riforma abbandonata del 2010.
In tale riforma è rimasta solo la disposizione transitoria dell’articolo 243 dell’IPC. L’ampia formulazione di questo articolo consente anche l’applicazione della nuova riforma, che sottopone al regime giuridico le invenzioni “universitarie”, “anche se le invenzioni erano in pratica al momento della loro realizzazione ed erano legate alla ricerca”.
Con il nuovo articolo 65-bis e due linee guida inserite nell’articolo 65, comma 4, del CPI, gli istituti di ricerca possono «istituire una tecnologia nell’ambito della loro autonomia… sostituire l’ufficio con la funzione di promuovere la valutazione della proprietà intellettuale diritti e promuovendo la cooperazione con le imprese”. Le linee guida prevedono inoltre che gli enti “nell’ambito della loro autonomia” debbano “regolamentare le modalità di applicazione delle disposizioni del presente articolo ai soggetti ammessi a partecipare ad attività di ricerca, ivi inclusi gli studenti dei corsi di laurea a fini divulgativi”. conseguiti nell’ambito di attività di laboratorio o in studi universitari”, una questione che ha già alimentato polemiche.
Una nuova disposizione introdotta nella Sezione 65(5) dell’IPC sembra scivolare nell’ambito della soft law:
I diritti derivanti dall’invenzione scoperta nello svolgimento di attività di ricerca svolte dagli enti di cui al comma 1, finanziati, in tutto o in parte, da altro ente, sono disciplinati da accordi contrattuali tra le parti.
Tali accordi contrattuali devono essere redatti “sulla base” di:
Linee guida che individuano i principi ei criteri specifici per la disciplina dei rapporti contrattuali, realizzate in Italia e adottate con decreto del Ministro dell’industria, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore. organizzato.
Ci si può interrogare sulla natura vincolante di queste “linee guida” che possono entrare in conflitto con l’autonomia delle università e degli enti di ricerca, ed è giusto limitarne l’attività contrattuale attraverso programmi troppo rigidi. Limitare in questo modo la libertà delle istituzioni può correre il rischio di disincentivare le imprese, soprattutto straniere, dall’aggiudicare contratti di ricerca alle imprese.
A parte questa ambiguità – anche se sembra che le università e gli istituti di ricerca italiani debbano virare a favore della piena libertà contrattuale – il bilancio di questo intervento normativo è comunque per lo più positivo. Ulteriori sviluppi sono attesi a breve dal disegno di legge sul concetto di “Made in Italy”. Ciò è particolarmente previsto se il legislatore desidera sciogliere il nodo dei giudici specializzati in casi di proprietà intellettuale, estenderlo alle questioni penali, concentrarsi su alcune aree e, soprattutto, rompere il limite di 10 anni per la specializzazione in proprietà intellettuale. Divisioni che dissipano un inestimabile patrimonio di competenze ed esperienza.
Si prega di contattare per ulteriori informazioni su questo argomento Cesare Galli IP Law Callie per telefono (+39 02 5412 3094) o email ([email protected]) è accessibile sul sito web di IP Law Gully www.iplawgalli.it.
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