Un gruppo di cittadini italiani, Greenpeace Italia e ReCommon, hanno presentato ricorso alla Corte Suprema italiana per una sentenza storica nel loro caso sul clima contro la società di combustibili fossili ENI, il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e la Cassa Depositi e Prestiti (CDP). , pendente davanti al Tribunale di Roma[1]. La Corte Suprema dovrebbe dichiarare che la magistratura d’appello italiana può e deve decidere su un caso del genere.
“Il ricorso alla Corte Suprema nasce dalla necessità di proteggere i nostri diritti umani al più alto livello giudiziario a rischio a causa dell’emergenza climatica provocata dall’uomo.” Greenpeace Italia e ReCommon affermano: “Non possiamo più fermarci, dobbiamo agire adesso. Per questo abbiamo deciso di rivolgerci alla Corte Suprema per presentare con forza la nostra richiesta di giustizia climatica. Nonostante quanto affermato pubblicamente in più occasioni, non è ha poca intenzione di entrare nel merito delle accuse che abbiamo rivolto all’ENI nel caso Just Cause, a quanto pare.[2] Sull’impatto passato, presente e futuro sulle persone e sul nostro pianeta.”
A metà febbraio il tribunale di Roma ha celebrato il primo processo[3] Nel caso climatico “Just Cause”. Il giudice ha accettato di fissare una nuova udienza per esaminare le eccezioni preliminari sollevate da ENI, MEF e CDP. Queste eccezioni includono un’affermazione di “totale incompetenza” che può archiviare il caso prima di approfondire la questione. Un risultato del genere costituirebbe un pericoloso precedente che impedirebbe future azioni legali sul clima nei tribunali italiani, sia contro lo Stato che contro aziende private.
La decisione sarebbe in netto contrasto con la recente sentenza del 9 aprile della Corte europea dei diritti dell’uomo (ECTHR) sul caso Klimäseniorinen.[4] In questo modo la Corte EDU ha affermato il diritto delle persone e delle associazioni a chiedere giustizia in tribunale per l’incapacità dello Stato di affrontare la crisi climatica.
Greenpeace Italia e Recommen riferiscono: “L’ENI lo sa“[5] L’ENI era ben consapevole del proprio contributo al cambiamento climatico, ma ha scelto di ignorarlo per decenni. Anche in casi complessi, è imperativo che i tribunali difendano i diritti delle persone e colmino il divario di responsabilità applicando la legge.
L’ENI deve assumersi la responsabilità delle sue politiche dannose e investire in misure ambiziose per limitare gli impatti della crisi climatica sulle persone e sul pianeta.
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Leggi la conferenza stampa (in italiano)
Note per gli insegnanti:
[1] Greenpeace Italia e Reagan: “Eni sceglie un consulente che sostenga il negazionismo climatico, si difende dal caso climatico pendente”. Udienza da domani
[2] Organizzare una conferenza stampa sul caso
[3]Cittadini e organizzazioni italiani hanno citato in giudizio il colosso dei combustibili fossili ENI per violazioni dei diritti umani e impatti sui cambiamenti climatici
[4]Le donne anziane svizzere vincono per la protezione del clima: la protezione del clima è un diritto umano – Greenpeace International [5] “ENI lo sa”, rapporto di Greenpeace Italia e RECOMM